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Poeta, scrittore, pianista e compositore: incontriamo oggi su Letteratour un autore polivalente che si dedica alla scrittura, soprattutto della poesia, in maniera continuativa dal 2014.Fabio Strinati nasce a San Severino Marche il 19/01/1983 e vive ad Esanatoglia, un paesino della provincia di Macerata nelle Marche. Molto importante per la sua formazione è l'incontro con il pianista Fabrizio Ottaviucci, grande interprete della musica contemporanea. Partecipa a diverse edizioni di "Itinerari D'Ascolto", come interprete e compositore, nonché a numerosi festival e manifestazioni musicali.
Partecipa nell’ottobre del 2015 alla mostra di arte visiva "movimento suoni idee" come artista musicale al Caffè Concerto di Modena con Amos Amaranti e gli Arcadia Meccanica all’11° Giornata del Contemporaneo.
Fabio Strinati inizia nel 2014 a dedicarsi alla scrittura, pubblicando nell'ottobre dello stesso anno il suo primo libro di poesie, Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo, che è stato trasposto anche in spettacolo teatrale. Seguono Un’allodola ai bordi del pozzo, che si è aggiudicato alcuni premi nazionali ed internazionali,
Dal proprio nido alla vita, un poemetto ispirato a un romanzo di Gordiano Lupi, Miracolo a Piombino, poi ancora le raccolte poetiche Al di sopra di un uomo e Periodo di transizione.
Strinati è presente in diverse riviste ed antologie letterarie e si è aggiudicato numerosi Premi.
Desiderio d’esser rondine: leggendo un poemetto di Fabio Strinati
“Vorrei girare il mondo come le rondini…” cantava il grande Lucio Dalla tanti anni fa: Fabio Strinati sembra fargli eco con l’incipit del suo poemettoDal proprio nido alla vita (edito da EIF nel 2016) che torna spesso come un refrain “Ho sempre desiderato essere una rondine”; ma scopriamo subito che il riferimento non è lo scomparso cantautore bolognese bensì lo scrittore toscano Gordiano Lupi, e più precisamente il suo recente libro Miracolo a Piombino, a cui Strinati rende omaggio all’inizio della sua opera.
Il linguaggio semplice con cui è scritto il poemetto non tragga in inganno: si tratta di un testo profondo, filosofico, complesso, estremamente poetico e tutt’altro che leggero. Il tono talvolta crepuscolare con cui il poeta dichiara la propria fragilità e inquietudine fa da contraltare alla voglia di infinito e di vita racchiusa nel desiderio di volare (“Volare è un po’ come sognare, / e sognare è un po’ come volare!”). Il poemetto in effetti è la descrizione di un viaggio simbolico e onirico nell’essere; anche il Monte Corsegno (un luogo reale, nelle Marche: “una di quelle montagne / che ti prendono l’anima”) da cui l’io poetante osserva il cielo in una giornata di vento e gelo (condizioni climatiche fortemente simboliche) rimanda ad altro, a qualcosa di trascendente e atemporale; uno spazio in cui l’autore tenta una definizione della morte (“Orrenda è la morte, / che all’improvviso arriva, con aria buffa / di chi si prende gioco della vita, di chi la disprezza”) e della vita (“la vita è vita, anche quando la morte se ne impossessa”).
Ma perché dunque il poeta vorrebbe essere una rondine? Perché suo desiderio è diventare “una di quelle rondini che sanno affrontare la vita”, in quanto “tutto ciò che conta, è la vita” e lui, col suo senso di smarrimento e di inettitudine (“Io ero un’anima debole, un nido di paglia e di cereali”) si sente incapace di afferrarla, di viverne appieno il senso profondo. Lui, uomo qualunque, anonimo (“Ero quel tipo di persona…che nessuno si sarebbe / mai voltato a guardare!”), vive un “periodo strano” in cui ha perso la propria identità. Un uomo smarrito come Dante nella selva oscura, profondamente solo, preda del ricordo (“’È impossibile non ricordare’ quando si è soli”) di cui dà una definizione tutt’altro che rassicurante (“i ricordi sono ficcanti e dolorosi; sono come chiodi precisi / che ti entrano dentro la carne, come cavatappi nel cuore”), che rifiuta il suo ruolo di poeta (“Come vorrei certe volte, non potermi sentire poeta, / per essere un po’ più giovane e meno adulto…”) e che insomma anela ad uscire al sole, fuori dall’oscurità dell’anima.
La salvezza è nel sapersi guardare dentro (“Un uomo, deve essere uomo per poter vedere dentro di sè.”) e nel ritrovare il proprio “nido”, il quale non necessariamente coincide col posto dove viviamo, la nostra casa. Il luogo tanto ricercato pare quindi essere dentro il nostro cuore, in questo assolato paesaggio interiore che ci fa veramente esseri umani e che rende sicure e preziose le nostre parole. Solo così la vecchiaia potrà dirsi “saggia” e potremo volare come rondini libere nel cielo terso dell’anima.
Massimo Acciai Baggiani
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